This is where it ends

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Marjeke Nijkamp

Inizia l’anno nella scuola superiore di Opportunity, cittadina dell’America profonda.

Gli studenti, riuniti nell’aula magna, vengono accolti dal canonico discorso di incoraggiamento della preside.

E quando tentato di uscire per andare a lezione, si rendono conto di essere prigionieri: le porte sono sbarrate, e uno di loro è entrato nella sala, e sta sparando.

Quattro sono i punti di vista che coprono l’orrore della mattinata a Opportunity, quattro gli sguardi che ricostruiscono Tyler, prima che prendesse le armi: sua sorella, che vorrebbe solo ballare; la migliore amica dei lei, Sylv, che è terrorizzata dal ragazzo; Tomàs, il fratello di Sylv, che lo teme ma vuole proteggere la sorella; e Claire, che ha avuto una storia con Tyler e crede in lui.

Ma queste quattro voci non portano da nessuna parte: tutte identiche, non costituiscono il coro che dovrebbe evocare l’orrore degli avvenimenti, far emergere Tyler come una figura sfaccettata  e complessa, analizzarne il degrado, sbalzare l’immagine della cittadina nel quotidiano e nell’emergenza.

L’autrice ha tentato un tema troppo complesso per le sue possibilità: ne viene fuori un romanzo piatto, noioso, in cui niente rende merito all’importanza del tema.

Ringrazio l’editore per avermi concesso la copia necessaria alla stesura di questa recensione.

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