
Elizabeth Acevedo
Emoni ha diciassette anni, i capelli riccissimi, una bambina di due anni, e un talento per la cucina che ha del magico, secondo l’amatissima nonna.
All’ultimo anno di scuola superiore deve giostrarsi in una vita piena di complicazioni – una piccoletta che cresce, i compiti, un lavoro part time che permetta di partecipare alle molte spese – e decidere del suo futuro: continuare a studiare o cercare immediatamente un lavoro? E, soprattutto: può riuscire a coltivare il suo talento culinario?
Ovviamente sì. E, credetemi, non è uno spoiler, perché questo romanzo ha da subito una scrittura così facilona e una vicenda così dolciastra che non se ne dubita un momento.
Esattamente come non si sente la fatica e i problemi di Emoni, che certo è di bassa estrazione sociale, orfana di madre, abbandonata dal padre che vede una volta l’anno, vive con la nonna e la sua pensione d’invalidità, ha una bambina a carico ma si è lasciata con il padre e via cantando.
Però i problemi di soldi li vediamo solo ogni tanto (con quello che costano i bambini piccoli solo in pannolini, eh!), la figlia si piglia una febbre in un anno di nido (la mia pestilenze che quella del 1347 era una passeggiata), mai un capriccio, mai una notte in bianco. L’ex è un ottimo padre, il nuovo interesse amoroso non batte ciglio quando scopre che ha una bambina. L’amica del cuore è ovviamente un mito.
Tutto va bene: amici, famiglia, amore, lavoro, studio.
Mi sfugge perché tentare una vicenda complessa quando, alla fine, vuoi raccontare di unicorni. E spezie. Molte spezie.
Sconsigliato a tutti, ai diabetici in particolare.